Se si parla di redistribuzione del reddito si è definiti socialisti, come se questa fosse una terribile offesa. Ma quando pochi individui – CEO, membri dei CDA, dirigenti delle multinazionali – guadagnano milioni e milioni di dollari, o euro, e quei guadagni scaturiscono dallo sfruttamento incondizionato sia delle risorse naturali che del lavoro di esseri umani di qualunque estrazione sociale – perché quello che un tempo era l’operaio oggi è il bancario, il commesso, o l’insegnante – questo modello diventa virtuoso.
Eppure, sembra che il sistema nel quale viviamo si sia appiattito all’accettazione della perdita di vari diritti, da quello allo studio passando per quello ad una salute dignitosa, senza considerare quello al lavoro, la cui mancanza crea un disagio sociale che si ripercuote per gli anni a venire.
Stato sociale significa anche protezione civile, fondi per la sicurezza, attenzione degli enti preposti al controllo del cibo che va in tavola. Rinunciare a questo significa andare incontro ad un mondo dove i pochi ricchi potranno permettersi prodotti alimentari salutari, studi adeguati per una migliore posizione lavorativa, una forma fisica migliore di chi, invece, risorse economiche non può averne, ma che è obbligato ad acquistare i prodotti forniti dalle aziende di quei CEO, di quei membri dei CDA, di quei dirigenti delle multinazionali.
Il disastro di Houston, in Texas, risponde a questo schema. Da anni cittadini ed associazioni locali spingevano affinché le industrie petrolchimiche presenti in quell’area si adeguassero dal punto di vista strutturale per far fronte alle sicure inondazioni che, anche a causa del cambiamento climatico, si sapeva sarebbero state sempre più violente e mortali. Le industrie non si sono adeguate agli standard oggi richiesti, respingendo ogni tipo di dialogo in tal senso.
L’amministrazione Obama aveva appena avviato un piano per la modernizzazione degli impianti per far fronte alle nuove condizioni ambientali, mentre quella Trump all’inizio del mese ha cancellato questa norma, oltre ad aver sancito l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi.
Ecco perché serve maggiore attenzione verso la generalità dei cittadini, non per i pochi eletti. Parliamo di Houston così come potremmo fare per una qualunque altra regione italiana, con case ed edifici pubblici costruiti sui letti dei fiumi, strutture abusive sanate grazie alla complicità dello Stato, industrie pesanti che per anni hanno inquinato nel nome dell’economia di scala: il tutto, con costi che ricadono sulla collettività.
Prima, da parte dei capitalisti senza scrupoli, la pretesa di avere agevolazioni fiscali per l’apertura degli impianti. Dopo, la pretesa di non rispondere per i danni causati al territorio.
Credo che il punto di non ritorno sia già stato superato abbondantemente.
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Nella foto di copertina: Il Texas sotto la furia di Harvey
Matteo Meloni: Privatizzare i profitti, socializzare le perdite
Se si parla di redistribuzione del reddito si è definiti socialisti, come se questa fosse una terribile offesa. Ma quando pochi individui – CEO, membri dei CDA, dirigenti delle multinazionali – guadagnano milioni e milioni di dollari, o euro, e quei guadagni scaturiscono dallo sfruttamento incondizionato sia delle risorse naturali che del lavoro di esseri umani di qualunque estrazione sociale – perché quello che un tempo era l’operaio oggi è il bancario, il commesso, o l’insegnante – questo modello diventa virtuoso.
Eppure, sembra che il sistema nel quale viviamo si sia appiattito all’accettazione della perdita di vari diritti, da quello allo studio passando per quello ad una salute dignitosa, senza considerare quello al lavoro, la cui mancanza crea un disagio sociale che si ripercuote per gli anni a venire.
Stato sociale significa anche protezione civile, fondi per la sicurezza, attenzione degli enti preposti al controllo del cibo che va in tavola. Rinunciare a questo significa andare incontro ad un mondo dove i pochi ricchi potranno permettersi prodotti alimentari salutari, studi adeguati per una migliore posizione lavorativa, una forma fisica migliore di chi, invece, risorse economiche non può averne, ma che è obbligato ad acquistare i prodotti forniti dalle aziende di quei CEO, di quei membri dei CDA, di quei dirigenti delle multinazionali.
Il disastro di Houston, in Texas, risponde a questo schema. Da anni cittadini ed associazioni locali spingevano affinché le industrie petrolchimiche presenti in quell’area si adeguassero dal punto di vista strutturale per far fronte alle sicure inondazioni che, anche a causa del cambiamento climatico, si sapeva sarebbero state sempre più violente e mortali. Le industrie non si sono adeguate agli standard oggi richiesti, respingendo ogni tipo di dialogo in tal senso.
L’amministrazione Obama aveva appena avviato un piano per la modernizzazione degli impianti per far fronte alle nuove condizioni ambientali, mentre quella Trump all’inizio del mese ha cancellato questa norma, oltre ad aver sancito l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi.
Ecco perché serve maggiore attenzione verso la generalità dei cittadini, non per i pochi eletti. Parliamo di Houston così come potremmo fare per una qualunque altra regione italiana, con case ed edifici pubblici costruiti sui letti dei fiumi, strutture abusive sanate grazie alla complicità dello Stato, industrie pesanti che per anni hanno inquinato nel nome dell’economia di scala: il tutto, con costi che ricadono sulla collettività.
Prima, da parte dei capitalisti senza scrupoli, la pretesa di avere agevolazioni fiscali per l’apertura degli impianti. Dopo, la pretesa di non rispondere per i danni causati al territorio.
Credo che il punto di non ritorno sia già stato superato abbondantemente.
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Nella foto di copertina: Il Texas sotto la furia di Harvey
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Matteo Meloni
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