Nella riunione di ieri la BCE ha mantenuto invariati i tassi di interesse (zero sui prestiti che BCE concede alle banche e -0,40% sui depositi delle banche in BCE) e ha deciso di continuare negli acquisti programmati all’attuale ritmo mensile di 80 miliardi fino al 31 marzo 2017 e di 60 miliardi da aprile a dicembre 2017.
Una decisione attesa, con un orizzonte di riduzione progressiva dell’impegno della BCE, una volta realizzati gli obiettivi di crescita dei prezzi e dell’economia sperati.
Un bicchiere mezzo pieno per alcuni, mezzo vuoto per altri. Ma anche un ombrello di protezione contro ogni tentazione di speculazione al ribasso sulle borse europee.
Da gennaio 2015, data di inizio del Quantitative Easing, al prossimo marzo 2017, la BCE avrà immesso liquidità nel sistema per 2000 miliardi. Allungando l’intervento di altri 9 mesi, la BCE creerà altri 540 miliardi di liquidità, il che è positivo per i mercati famelici di denaro a basso costo. Nel contempo la riduzione dell’importo degli stimoli segna l’inizio della fine della manovra super espansiva.
Le parole di Draghi hanno stimolato una riduzione dei tassi a breve termine e un aumento di quelli a lungo termine. Questo è positivo per le banche, che in genere si indebitano a breve ed erogano finanziamenti a più lunga scadenza.
Le incertezze restano tuttavia elevate perché le banche europee restano fragili (in Italia e Germania innanzitutto). In un mondo dominato dalle piccole imprese che dipendono da queste per finanziarsi, banche fragili non giovano alla crescita. Inoltre, tra il 2017 e il 2018 andranno a votare Paesi europei che rappresentano il 70% del PIL dell’area euro. Questo, lo ha ribadito lo stesso Draghi nella conferenza stampa, creerà ulteriore incertezza. Infine, una crescita del prezzo del petrolio creerebbe un quadro negativo. Avremmo una inflazione “cattiva” con il doppio effetto di deprimere i consumi e di costringere la BCE a ridurre gli stimoli monetari prima del previsto.
Nella settimana post referendum era in agenda anche l’approvazione da parte della Commissione Europea della legge di bilancio, con possibili richieste di correzione fino a 16 miliardi, e la partenza della ricapitalizzazione di MPS.
Ancor prima dell’approvazione da parte di Bruxelles, la manovra andrà integrata con un decreto che precisi alcuni aspetti sulla fiscalità molto importanti per le banche. Bisogna inoltre rivedere la legge sulla trasformazione delle banche popolari più grandi in Spa, per evitare problemi di costituzionalità, dopo la sentenza del Consiglio di Stato, della parte relativa alla clausola di recesso, dove si consente alle banche di differire o di non pagare affatto, gli azionisti che non vogliono diventare soci di una società per azioni.
Con la decisione della Vigilanza europea, presieduta da Danielle Nouy, di non accordare a MPS una proroga di 20 giorni alla realizzazione dell’aumento di capitale, si è avviata la procedura prevista dalle regole per l’intervento dello Stato.
Con l’approvazione del decreto di imminente emanazione, sapremo come si realizzerà l’intervento dello Stato, che non potrà prescindere dal coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati nel salvataggio. La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) prevede, infatti, che si possa derogare alle regole del “bail in” con autorizzazione della Commissione europea. Prima di procedere all’intervento pubblico, bisogna coinvolgere almeno l’8% delle passività, che ammontano a 13 miliardi (il patrimonio è di quasi 9 miliardi, 4,3 miliardi sono le obbligazioni subordinate e un miliardo il prestito “ibrido (Fresh). I titolari di questi prestiti dovrebbero contribuire fino a un massimo di 4 miliardi.
A questo punto il Governo, tramite il Fondo di risoluzione, può intervenire fino al 5% (8 miliardi). Il tutto basta ad evitare ogni rischio di coinvolgimento dei depositanti, correntisti e normali obbligazionisti. Alcune indiscrezioni parlano di un aumento della partecipazione dello Stato attorno al 40%, con un intervento di 2 miliardi. La speranza è che il governo eviti di ripetere l’errore fatto con i risparmiatori Etruria e che ristori i 40 mila possessori di subordinati retail (il numero esatto non è noto poiché le subordinate sono negoziate sul mercato) che hanno sottoscritto i 2,16 miliardi di bond necessari per comprare Antonveneta.
Sull’intervento pubblico sulle banche, tra tante dichiarazioni della politica emergono le parole razionali del Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi che si è espresso per un intervento pubblico, se serve a salvare la banca e tutelare il risparmio, ma senza esagerazioni statalistiche anche perché si usano i soldi dei contribuenti.
Nonostante la posizione, sorprendentemente favorevole, di gran parte dei partiti di mettere in sicurezza MPS e le altre banche in crisi con soldi pubblici, l’operazione non è priva di interrogativi:
1) come si finanzia l’intervento dello Stato? Poiché non ci verrà consentito di salvare le banche in deficit, si taglia ulteriormente la manovra appena approvata o si mettono nuove imposte, compresa la “patrimoniale” che aleggia minacciosa?
2) come si ristorano i subordinati retail? Vista la rigidità della Vigilanza Europea non sono possibili rimborsi integrali (le 11 emissioni subordinate di MPS quotano sui mercati tra il 50 e il 60% del valore nominale);
3) cosa si farà per la ricapitalizzazione delle altre banche in difficoltà ad iniziare dalle due banche venete, alla cui guida è stato chiamato Fabrizio Viola, l’ex amministratore delegato di MPS, recentemente sostituito da Marco Morelli? Ci si affiderà al mercato, ad altri fondi pubblici o si chiederà l’intervento del “fondo salva stati” con tutte le conseguenze connesse?
La soluzione dei problemi del sistema bancario è una strada lunga e tecnicamente complessa, dovendo passare per la “cartolarizzazione” delle sofferenze (cioè la loro trasformazione in obbligazioni da collocare sul mercato), per la regolamentazione delle garanzie statali su questi crediti (GACS), per l’intervento del Fondo Atlante (da ricapitalizzare) per smaltire la montagna di crediti bancari “deteriorati” delle banche.
Il salvataggio del sistema creditizio dovrà essere accompagnato dal rinnovo della classe dirigente delle banche su basi di moralità, merito e sobrietà delle remunerazioni, spesso scandalose. Se tutto questo si realizzerà, i denari impiegati allo scopo saranno stati ben spesi