Dai dati Istat pubblicati il 14 Novembre (1), risulta che il Pil, “corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato“, è aumentato, rispetto al III trimestre 2016, dell’1,8%; rispetto al I trimestre 2014 (cioè da quando Renzi è andato al Governo fino ad oggi), il risultato complessivo – dal rapporto fra i “valori concatenati” esposti dall’Istat – è del +3,86% (che, forse anche meno dell’1% medio annuo, non pare possa essere definito un risultato entusiasmante: tanto meno se lo si rapporta alle risorse impiegate, valutate in oltre 50 miliardi!).
Dai dati occupazionali pubblicati dallo stesso Istat risulta che nell’ultimo anno su 100 contratti di lavoro stipulati ben 93 sono di tipo precario. E rispetto al 2007 c’è un meno 6 per cento di ore lavorate. Vale a dire: se i lavoratori sono numericamente gli stessi di 10 anni fa, lavorano complessivamente di meno. E di conseguenza il loro reddito aggregato diminuisce, e quindi la domanda privata ne soffre, e questo non aiuta l’occupazione a crescere: elementari rapporti di causa-effetto.
Dai dati pubblicati dalla Banca d’Italia (2) risulta che:
– il Pil è ancora al 95% del suo valore nel 2007 (molti punti in meno della crescita media segnata dagli altri Paesi UE: già nella relazione del 31 Maggio questa era stata valutata al 107%, alla fine del 2016, quando quella italiana era al 94% – nota 4. Vuol dire oltre 10 punti di differenza fra il “recupero” italiano e quello degli altri). La considerazione che ne viene è banale: la crisi c’è stata per tutti, ma non tutti ci sono stati dentro allo stesso modo, e l’Italia è fra quelli che ci sono stati peggio.
– gli investimenti sono al 75% del loro valore nel 2007; dal 2014 ad oggi sono passati dal 70% al 75% (ben poca cosa, evidentemente. Il fatto è che buona parte delle risorse è stata impiegata per elargire bonus a pioggia, secondo la nota strategia renziana)
Secondo la Commissione Europea – che ha rilevato per il 2017 una crescita del Pil maggiore delle aspettative (anche di quelle dello stesso Governo italiano) – la crescita dellItalia sarà dell’1,3% nel 2018 e dell1% nel 2019, perciò inferiore a quanto previsto per entrambi gli anni dal Governo. Questo porrà dei problemi, poiché imporrà di correggere quanto previsto dalla manovra governativa per i prossimi anni: e quando correzioni sono in vista, bisogna sempre mettersi in allarme.
Sempre la Banca d’Italia (3) rileva che il debito pubblico segna un nuovo record storico: 2.283 miliardi (è aumentato di 45 miliardi nel 2015 e di 65 miliardi nei primi 9 mesi del 2017). Questi dati sono molto preoccupanti in vista della riduzione e poi del probabile annullamento, nel 2018, del “Quantitative Easing” da parte della BCE di Mario Draghi: poiché questo causerà un innalzamento dei tassi di interesse sul debito e quindi richiederà maggiori risorse per finanziare il debito stesso, che dovranno essere sottratte da altri impieghi (per non alterare i “saldi“), oppure imporranno il reperimento di risorse aggiuntive (altro motivo di allarme).
Insomma: checché ne dicano, come sempre, sia Renzi sia i suoi acritici ripetitori (anche sostenuti da qualche amichevole “economista“), e lo stesso Governo, non pare ci sia molto da esultare, anche in presenza di dati in qualche misura positivi: perché la ripresa è debole (tanto che siamo ancora al 95% del livello di Pil dell’inizio della crisi, nel 2007) ed è molto inferiore a quella degli altri Paesi Ue (che sono vicini al +10% rispetto al 2007, ed anzi qualcuno lo ha già superato); ha scarsissima incidenza sull’occupazione, che oltretutto resta in gran parte precaria nonostante le ingenti cifre – molti miliardi – impiegate per il Jobs Act (e Renzi ha detto addirittura che “ce ne vorrebbe un altro“!); e gli investimenti, sia pubblici sia privati, restano a livelli assolutamente insufficienti a garantire sviluppo ed occupazione.
Ecco perché occorre una decisa discontinuità, di programmi e di persone, altro che “aperture” ventilate senza contenuti (in mancanza dei quali, come si può negare?, “le chiacchiere stanno a zero“: chi lo ha detto ha pienamente ragione).
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(2) http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economia-italiana-in-breve/2017/iteconom_127_ita.pdf
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Foto di copertina: Matteo Renzi e Paolo Gentiloni