«Occorre affermare che del destino degli italiani debbono decidere gli stessi e non i mercati … è inaccettabile il ricatto dello spread, che la sovranità sia dei “mercati” e non del popolo che vota», si legge da molte parti. Certo, in linea astratta di principio non fa una piega.

Allo stesso modo, però, i “mercati” – cioè quelli che hanno i soldi (siano essi italiani o europei o di qualunque nazionalità), i soldi che a noi servono per sopravvivere (pagare stipendi pubblici, pensioni, sanità, opere pubbliche, ecc. : fanno circa 400 miliardi all’anno, 400 miliardi ogni anno !!!!!!) – hanno la piena facoltà e libertà di decidere – perché nessuno può obbligarli a fare diversamente, sono i loro stessi sottoscrittori che pretendono che così facciano – se concederci o no i prestiti (il rinnovo dei titoli di Stato in scadenza, non avendo esso la capacità economica di rimborsarli, o addirittura nuovi ulteriori prestiti), e se sì a quali condizioni: nessun debitore può pensare di poter pretendere di essere lui a dettare le condizioni alle quali il potenziale prestatore di capitali può concedere prestiti, dovrebbe essere di banale evidenza.

Nel primo caso (mancata sottoscrizione dei titoli in scadenza, cioè mancato rinnovo dei prestiti, o rifiuto di concederne nuovi e più ampi – come avviene per le spese in deficit: cosa che a molti non sembra essere chiara) siamo condannati alla catastrofe immediata (ricordiamo gli assalti agli sportelli bancari ed ai bancomat?), perché ben presto si cade nella mancanza di disponibilità finanziarie e nell’impossibilità di erogare prestazioni statali, sia economiche (stipendi, pensioni, pagamento dei fornitori, ecc.) che di servizi; nel secondo caso (aumento dei tassi di interesse, quindi aumento della quantità di soldi che lo Stato deve trovare ogni anno per pagare gli interessi sul debito – ai tassi correnti (che sono, da anni, molto bassi), lo Stato deve pagare 63 miliardi di interessi, ogni anno -, soldi che riducono le disponibilità dello Stato per altri impieghi, in primis quelli sociali) possiamo morire di morte lenta, con sempre meno “ossigeno” (misure sociali che non possono essere finanziate).

Si possono fare tutte le questioni di principio che ci pare, ma questa, solo questa, è la realtà. Bisogna conoscerla e farla conoscere, perché è da là che si parte. Non si tratta di rinunciare alla propria autonomia né a giusti princìpi, ma di capire quali sono le condizioni che ci affliggono (questa è la parola giusta) e cercare le vie – i tempi e i modi – per uscirne senza danni; non serve perciò, ed è pericoloso – non a caso lo fanno le destre cosiddette “sovraniste” e populiste -, agitare parole d’ordine roboanti che illudono le masse spesso inconsapevoli dei margini reali di cui disponiamo. Purtroppo, la realtà – sicuramente triste: ma quella è – in cui ci muoviamo è quella di un Paese fortemente indebitato e che ha bisogno di chi continui a prestargli i soldi di cui necessita per non collassare: e chi ha debiti – lo sappiamo tutti, dalla nostra vita quotidiana – non dispone interamente di sé stesso.

Bisogna allora rinunciare alla politica? No, ma bisogna cercare con prudenza le soluzioni di medio e lungo termine, per non adottare – e nemmeno far credere possibili – provvedimenti che inevitabilmente si rivelerebbero illusori, e per larghi strati sociali (soprattutto per quelli più deboli) sanguinosamente peggiori del male. Non si può, non si deve mai, prescindere dal principio di realtà: serve solo a farsi ancora più male.

Commenti