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Produzione industriale marzo. Non diamo giudizi affrettati

I dati pubblicati ieri dall’Istat sulla produzione industriale italiana e sugli ordinativi a marzo sono entrati in modo deflagrante nella accesa polemica politica in corso alla vigilia di una importante tornata di elezioni amministrative, che potrebbe avere effetti importanti anche sul governo.

In effetti, il calo registrato rispetto a febbraio, per fatturato (-1,6%) e ordinativi (-3,3%) è molto elevato. La contrazione del fatturato è la sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un incremento molto piccolo (+0,1%) su quello estero. Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 3,6%, con un calo del 4,4% per il mercato interno e del 2,2% su quello destinato alle esportazioni
Anche calo degli ordinativi segue lo stesso trend: si verifica sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).
L’effetto del mese di marzo gela la congiuntura dell’intero 1° trimestre dell’anno: l’indice complessivo cala infatti dell’1,1% (-1,2% per il fatturato interno e -0,9% per quello estero).
Per il fatturato del comparto manifatturiero la maggiore diminuzione, riguarda la fabbricazione di prodotti petroliferi raffinati (-22,4%) e delle auto (-6,5%) che fa seguito ad un lungo periodo di crescita del comparto “automotive” sotto la spinta dei nuovi modelli della FCA ben accolti sul mercato.

Questi i freddi numeri, ai quali va certamente data una giusta importanza, ma senza drammatizzare. Prima di arrivare a conclusioni di una qualche valenza, bisogna aspettare i prossimi mesi. Troppo elevato infatti il calo dei prodotti petroliferi e quello del settore auto per non pensare a un qualche effetto diverso dall’andamento effettivo della produzione.
D’altro canto, l’ipotesi che il dato di marzo sia erratico rispetto alla tendenza di fond, è suffragata dalle previsioni macro economiche fatte dai principali enti e società di rating internazionali.

Per l’Italia, infatti, il Fondo Monetario vede al rialzo (da 1,1% a 1,2%) la crescita del PIL di quest’anno e gli indicatori di buon andamento dell’economia degli Stati Uniti e della stessa Europa sembrano contraddire l’idea di un declino così forte della manifattura italiana.
Bisogna fare anche attenzione a diffondere un pessimismo fuori luogo, sulla base di dati così parziali, in quanto l’andamento dell’economia di un paese è in buona sostanza determinato dalla sommatoria delle aspettative individuali.
Se tutti ci convinciamo che le cose andranno peggio, assumeremo comportamenti individuali conseguenti (minore spesa, maggiore risparmio) la cui sommatoria porterà inevitabilmente a un calo dei consumi, dei prezzi e quindi degli ordinativi, della produzione e del PIL. Aumenteranno i risparmi, diminuiranno i tassi di interesse sui depositi e, soprattutto, gli industriali bloccheranno gli investimenti, proprio in previsione dei minori consumi.
Si chiamano previsioni (o profezie) autoavveranti, previsioni che, per il solo fatto di essere credute in quanto provenienti da fonti ritenute accreditate, si auto realizzeranno.
Mai come oggi c’è bisogno al contrario di ottimismo, di fiducia nel futuro, di voglia di godere la vita dopo otto anni ininterrotti, nei quali i vocaboli più usati sono stati “crisi”, “rigore” e “sobrietà”.
In un certo senso, anche gli annunci di ulteriori liberalizzazioni nel mercato del lavoro e di agevolazioni che il governo dichiara, un giorno si e l’altro pure, di voler concedere per favorire nuovi investimenti, possono avere effetti perversi, opposti cioè a quanto ci si propone.
Il rischio è che gli operatori siano frenati dall’investire oggi, nell’attesa dei benefici fiscali o di altro genere domani.

Ecco perché bisogna mettere un punto fermo anche agli annunci e dare certezze sulla politica industriale che si intende perseguire da qui a fine legislatura.
Infine, la si smetta una volta per tutte con le continue pressioni al ribasso sul costo del lavoro e si punti invece sui settori ad alto valore aggiunto.
Sempre per effetto delle aspettative, che interessi avranno gli imprenditori ad investire per ampliare la produzione se le aspettativa sono di un livello dei redditi dei consumatori a più alta propensione di spesa (giovani e ceti medi) destinato a calare?

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