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Prove tecniche per il partito renziano

Renzi ha “autocriticato” gli elettori che non hanno capito il suo governo. Per sé e per la sua sua squadra ha riservato solo la responsabilità di non aver spiegato bene le meraviglie di quello che ha fatto in mille giorni. La cosa più singolare è che tutti i giornali hanno titolato sull’autocritica di Renzi solo perché ha detto quel che avevamo capito tutti: “Ho perso, anzi ho straperso”. Perché ciò sia avvenuto, a Renzi non interessa.
Nella sua relazione il NO non è mai esistito se non come un numero elettorale dietro al quale “non” si celavano idee, passioni, rabbia di persone in carne e ossa. Non hanno capito: questa è la sua convinzione. Quelli del SI, voto che è stato dato anche da tanti non renziani, per l’ex premier sono, invece, tutta base di lancio per successi personali futuri. Insomma la linea è stata giusta, non l’abbiamo saputa comunicare.
Il secondo aspetto dell’assemblea di domenica è stato il rifiuto di convocare a breve un congresso. Renzi non crede al partito. Immagina che un dibattito di partito faccia perdere tempo mentre bisogna concentrarsi solo sulla rivincita elettorale. Quindi congresso fra un anno e campagna elettorale politica anticipata a giugno o poco più in là. Per far questo è necessario che Gentiloni si immoli e forse il nuovo premier, a cui la presidenza dell’assemblea Pd non aveva neppure riservato una sedia, è pronto a questo sacrificio supremo per il suo capo.

Renzi pensa anche di vincere alle politiche anticipate perché coglie Silvio Berlusconi in mezzo al guado, fra partito da ricostruire, attesa della sentenza europea che potrebbe riabilitarlo, e le sventure di Mediaset. I 5Stelle, invece, sono e saranno alle prese con il loro fallimento romano.

Lo schema politico di Renzi è tutto qui. Il partito deve raffinare la sua comunicazione, a scoprire i talenti si dedicherà solo lui con il Pd ridotto a X Factor, la campagna elettorale va fatta quando gli avversari hanno l’acqua alla gola.
Il partito, quel che deve essere, fare, e immaginare di sé nel futuro ha poca importanza. Domenica abbiamo visto la prima vera manifestazione del partito del leader.

L’opposizione tradizionale, quella di Rossi è in costruzione e si è espressa con un bel discorso del governatore, assiste ancora una volta al dispiegarsi dell’egemonia di Renzi, tacendo. Molto casino prima e dopo, ma mai una battaglia in corso d’opera. Speranza e soci sembrano sempre sul punto di andar via o di trattare le migliori condizioni per restare. Sarà così che nei prossimi mesi vedremo solo la gara per la candidatura a premier con Renzi dilagante, Speranza, Emiliano e qualche altro ad agitarsi. Rossi, si sa, ha detto che vuole solo guidare il partito per farne una cosa di sinistra quindi non sarà in questa partita.
Cosi stando le cose il Pd rimanderà ancora il necessario chiarimento su se stesso.

Spesso si pensa, non a torto , che le identità politiche si formano in battaglia. In questo caso rischia di non avvenire perché il Renzi dell’Assemblea ha chiaramente mostrato l’armamentario culturale del suo progetto: un po’ di “clintonismo imbruttito”, molta politica compassionevole. Non c’è una sola riforma di fondo che riguardi l’economia che sembra interessargli. Intendiamoci, Renzi ha fatto benissimo sulle leggi civili e anche sulla riforma istituzionale aveva qualche argomento solido. Non ha invece, a parte la discutibile liberalizzazione del mercato del lavoro, alcuna idea su come trasformare l’assetto economico del paese. Anche la lamentale sul Mezzogiorno premiato dai finanziamenti e ingrato nel voto non ha chiarito quale fosse il suo progetto.
Mentre in tutto il mondo, di fronte al radicalizzarsi delle destre, i partiti progressisti e di sinistra affrontano per le corna il tema dell’economia, di chi la guida e di come si possa riformare il capitalismo, Renzi sfugge al tema. Vive nel passato. Quello vero, quello che andrebbe rottamato.

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