Assemblea Pd

Quale partito per quale partita?

Dell’assemblea nazionale del Partito Democratico credo si sia detto tutto o quantomeno abbastanza. Ho trovato tutti gli interventi estremamente interessanti al netto di qualche tono borderline che ha gettato il clima della discussione in caciara e polemica, mettendo in secondo piano una dimensione importante, quella del dibattito interno sui contenuti, che ritengo si debba necessariamente sviscerare e sicuramente condividere.

La domanda è quale partito e, mi concederete la metafora calcistica, per quale partita?
Ebbene sì perché, al netto delle tifoserie, dei toni di dibattito sempre più “grillizzati” nel nostro paese, degli slogan e dei numeri, forse sarebbe finalmente arrivato il momento di soffermarsi insieme, come solo una grande comunità politica sa fare, a confrontarsi su quale partito sia oggi il Partito Democratico e su cosa sogni di fare da grande.
Ma di partito, ahimè,  si parla ancora troppo poco e ancor meno della direzione da dargli, nonostante, ormai, ci si sia lasciati alle spalle il referendum costituzionale di cui ho condiviso le ragioni del Sì senza sottrarmi però ad una criticità analitica nei confronti di alcune iniziative del Governo e verso alcune scelte del Premier Matteo Renzi, segretario anche del Partito Democratico. La crisi identitaria delle grandi ideologie, l’incremento dei populismi da ogni angolo dell’Europa, l’assenza di governi capaci di fronteggiare i poteri finanziari, riduce drasticamente gli spazi della politica. Ed è proprio di questa politica che si sente estremamente la mancanza e la necessità.

E’ ormai chiara l’incongruenza all’interno di un quadro come questo, di una figura di spicco come quella del Premier che non può certamente coincidere con quella di segretario di partito. Un accentramento gestionale che penalizza il dibattito nella propria comunità politica, che limita il diritto di critica e il bilanciamento naturale che dovrebbe esserci fra rappresentanza di governo e responsabilità di direzione di un partito grande e importante come il Partito Democratico.

SERVE IL CONGRESSO – Ecco perché ritenevo giusto che il segretario Matteo Renzi proponesse di stabilire presto un nuovo appuntamento congressuale. Vorrei dirlo con massima chiarezza: non riesco a star dentro alle logiche di corrente, alle balcanizzazioni nella nostra comunità, alle gare di fedeltà (fosse lealtà sarebbe ben diverso), alla resa dei conti. Mi spiace ma il congresso del Partito Democratico non può diventare questo. E nemmeno può essere una gara fra i volti, una genuflessione al dire e saper dire bene. Io credo che un congresso debba necessariamente essere una discussione sui programmi e una bella occasione di confronto sulle idee. Purtroppo di idee in campo ne vedo troppo poche. Da un lato c’è un’ala del PD a siniStra che per un ventennio ha fondato le sue argomentazioni sull’anti berlusconismo e ora prova a fare lo stesso con l’antirenzismo.

LA CANDIDATURA DI ENRICO ROSSI – Dall’altro una parte di partito che sembra non volersi fermare neanche un attimo a confrontarsi per tessere insieme i fili di una nuova storia comune domandandosi dove si è smarrita la via. In questo quadro la proposta del Presidente Enrico Rossi a me pare invece chiara: nel suo libro si evidenziano motivazioni forti non toni divisivi. Rivoluzione socialista è un manifesto che propone idee chiare su tematiche rispetto alle quali il nostro partito non può vivere eternamente nel limbo delle scelte di questo o quel leader. Per queste ragioni ho deciso da subito di sostenere la candidatura di Rossi a segretario del Partito Democratico.

Il capitalismo e il post capitalismo stanno dando ormai tutti i segnali di cedimento strutturale. La finanza ha divorato la politica facendo aumentare le disuguaglianze nel mondo e riducendo sempre più gli spazi di partecipazione democratica. Anche in Italia il campanello d’allarme delle nuove forme di povertà suona puntuale e ci pone il grande tema della redistribuzione delle ricchezze, il tema dell’innovazione che sia al passo con il rispetto del mondo del lavoro attraverso il dialogo e non la contrapposizione con i corpi sociali, il tema di una democrazia più partecipativa e capace di chieder conto al proprio popolo. Se dovessi concentrarmi sull’esito del referendum sottolinerei questo: c’è un’Italia che ha bisogno di dire la propria, di essere coinvolta, di essere interpellata in scelte importanti. Questo vale anche per gli iscritti al Partito Democratico.

LA CONDIZIONE DIFFICILE DEI GIOVANI  ITALIANI – Forse sarebbe il caso di domandarsi se il distacco dal mondo giovanile, evidenziato così bene nell’analisi del No al referendum appena passato, non risieda appunto nella condizione difficile dei giovani italiani, sempre più orfani di futuro. Una generazione sempre più capace di esprimere idee e competenze di cui anche la politica dovrebbe farsi interprete e e che dovrebbe ascoltare. Il nostro partito lo fa? Esistono momenti collegiali di dibattito interno nei nostri circoli, nelle federazioni, fino ai livelli più alti di direzione? Io credo sarebbe possibile certamente fare di più. L’ho proposto durante la festa de L’Unità nella mia città: attraverso i nuovi mezzi tecnologici del web, costruiamo una piattaforma aperta a tutti gli iscritti in cui chiamare ogni tesserato al Partito Democratico a dire la propria sui temi, a spiegare quale partito immagina e su quali politiche sarebbe necessario concentrarsi. Costruiamo ancora più contatto e rete fra iscritti, amministratori, parlamentari, ministri, ecc… Esiste un canyon partecipativo che purtroppo ci separa da una generazione, quella più giovane che chiede di poter dire la propria, di poter partecipare, di essere interpellata e facciamolo rendendoci protagonisti di questa contemporaneità e sfruttandone i mezzi a disposizione per dialogare con la nostra base.

Credo tanti, troppi nostri iscritti siano stanchi di congressi che sono troppo spesso conte di tessere, fatti di meccanismi alcune volte poco trasparenti nelle commissioni tesseramento, di potentanti, in cui a contare sono i numeri e non le storie. Torniamo a stabilire un contatto con il nostro popolo, a rispondere ai bisogni del mondo del lavoro sempre più orfano di una politica non attenta agli ultimi, a chi è dimenticato, a chi è tagliato fuori da ogni possibilità.

In questo quadro abbiamo esempi fondamentali con cui aprire spazi di dialogo: Sanders negli Usa, Van der Bellen in Austria, Sadiq Khan a Londra e in Uk.
L’ho scritto qualche giorno fa citando uno degli intellettuali e poeti a cui sono più legato, Vladimir Majakovskij: “Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada”.

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