
“Questa è casa mia”: un reportage del NYT sull’immigrazione da Castellina in Chianti
L’edificio a tre piani non è cambiato molto. Le lavagne a quadri sono ancora appese alle pareti color ocra della classe. Anche il rituale mattutino è familiare. Due studenti scorrono le file dei piccoli banchi di scuola e raccolgono i quaderni degli esercizi, che l’insegnante mette via nello stesso armadio che è lì dalla fine degli anni ’80, quando anch’io ero un’alunna della scuola elementare di Castellina in Chianti.
Ciò che è cambiato sono gli studenti. Nella mia infanzia a Castellina, solo uno dei miei compagni di classe veniva da un’altra città, trasferitosi da Grosseto al nostro antico borgo fortificato di 2.800 anime. Come me, era toscano, eppure ci sembrava un esotico forestiero.
Adesso più della metà dei 23 alunni della seconda elementare sono nati da genitori provenienti da Bosnia, Albania, Macedonia, Marocco, Tunisia, Pakistan e Afghanistan. Cinque di loro sono nati nel Paese di origine della famiglia o in paesi di transito per l’Europa. Questa è la nuova Italia.
Inizia così il reportage da Castellina in Chianti per il New York Times di Gaia Pianigiani (L’immigrazione ridisegna un antico borgo toscano e l’Italia | 20 febbraio 2018), la cui famiglia “vive a Castellina da generazioni”. Pianigiani – che adesso vive a Roma, ma ha mantenuto un legame stretto con il proprio paese natio – è “la nipote di un contadino di una regione molto famosa per il suo vino”. “Oggi però sono i migranti che curano molti campi e si occupano degli anziani, i cui figli e nipoti vivono altrove. Gli stranieri sono il 17 percento della popolazione”.
Ma è una chiacchierata con Francesco, un bambino di nove anni, che aiuta Pianigiani a comprendere davvero quanto è mutata la sua Castellina. Una sera a cena, Francesco le racconta che è “triste perché il suo amico Igor se ne era andato. Igor si era rifugiato qui dall’Ucraina, ma ora poteva tornare a casa perché non cadevano più le bombe e suo padre aveva lasciato l’esercito”. Attraverso un compagno di scuola, Francesco è a conoscenza di cose avvenute in un altro paese, ha un contatto diretto con il mondo.
Una mattina, poi, Pianigiani si reca nella scuola elementare del paese per incontrare gli alunni della seconda, con la maestra Maria Luisa Roscino, che insegna da 28 anni ed è a Castellina da 20. “Questa è la sua prima classe in cui la maggioranza degli studenti, il 51 percento, è nata all’estero o da genitori stranieri”.
Molti siriani, così come i bengalesi, i gambiani, i nigeriani e molti altri sono arrivati nella mia regione dopo che le politiche del governo nazionale, per alleggerire il carico di sbarchi sulla Sicilia, nel 2015 hanno accelerato e allargato la distribuzione di migranti in tutto il resto del Paese. A quel punto, le autorità europee avevano bloccato la via verso nord, chiudendo i passaggi attraverso l’Italia o i Balcani, mentre le persone continuavano ad attraversare il Mediterraneo.
Molti italiani avevano aperto le loro case a coloro che erano sbarcati. Nascevano squadre di calcio di migranti. L’Italia veniva lodata globalmente per il suo abbraccio accogliente e dal cuore grande. Ma i profughi arrivavano in ogni regione d’Italia, e una certa resistenza, una certa rabbia iniziavano a manifestarsi.
Alcuni comuni tentavano di bloccare i trasferimenti. Matteo Salvini, leader della Lega, partito anti-immigrati di estrema destra, teneva comizi in tutta Italia al grido dello slogan “prima gli italiani”, accusando il governo di centro sinistra di aver trasformato il Paese in un “grande campo profughi”.
Una delegazione della lega è andata a protestare contro l’ultimo arrivo di migranti a Castellina, ma non è riuscita a suscitare grande rabbia. “La Toscana” scrive Pianigiani “è una terra di sinistra da decenni”.
Leggiamo poi la storia di una signora pakistana, Lubna Batool, un medico che adesso vive a Castellina.
La Signora Batool ha seguito suo marito, un signore afghano che ha un permesso di soggiorno a lungo termine a Castellina. Lo ha raggiunto otto anni fa, quando la crisi economica si stava aggravando. Nel sud-ovest del Pakistan era un medico, ma non è ancora riuscita a trovare lavoro in Italia. Ha comprato libri costosi ed è andata a Roma per fare un complesso esame per vedersi riconosciuta la sua laurea in medicina.
Oggi Castellina ha solo due medici di famiglia, incluso il mio, il Dottor Giuseppe Pacella. Uno dei migliaia di medici italiani che andrà in pensione tra pochi anni, è lui che incoraggia la Signora Batool ad insistere con l’esame di stato, in parte perché si preoccupa di chi prenderà il suo posto.
“Queste persone non solo hanno una laurea, ma hanno anche resistito a guerre, trasferimenti e problemi economici”, mi ha detto il Dottor Pacella. “Dobbiamo integrare le persone che vogliono lavorare, perché ne beneficeremo tutti”.
Il marito della signora Batool, Ali Mohammad, lavora nel settore agricolo. Pianigiani lo ha incontrato “un giorno d’inverno al lavoro nelle vigne tra pozzanghere congelate e la bianca brina mattutina. Legava con dei ganci i fili di ferro che raddrizzano le viti, un lavoro che un tempo facevano mio nonno e i miei antenati”.
Come molti dei suoi amici d’infanzia, Pianigiani ha ancora la residenza a Castellina, paga le tasse lì, vota lì. Ma non ci vive più. Come lei stessa racconta, fa parte di “una diversa migrazione”, ossia è un’emigrata. Per lavoro è “arrivata in una grande città”, Roma. Alcuni dei suoi amici, per necessità o per opportunità, sono andati all’estero, nel resto d’Europa o molto più in là. “Eppure – racconta – il paesino lega ancora me e i miei amici. Quando muoiono i nonni, presenziamo al funerale. Quando qualcuno si sposa, andiamo al matrimonio. Il mio cuore è in pace quando vedo le vigne e la torre medievale a distanza”.
Oggi, però, Castellina appartiene anche ad altri.
L’ho capito quando ho incontrato Bilal El Hartika, 9 anni, nato in Toscana da genitori marocchini. Ho chiesto se si sentiva a casa qui. “Sono marocchino e italiano, di Castellina”, mi ha risposto senza esitazione. “Questa è casa mia”, ha aggiunto in arabo, “La mia dar”.
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(sintesi a cura di Sara Ligutti)
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(foto: Bilal El Hartika, a sinistra, 9 anni, è nato in Toscana da genitori marocchini. “Sono marocchino e italiano, di Castellina”, dice senza esitazione. Credit: Nadia Shira Cohen per The New York Times)