L’operazione MPS va annoverata tra i successi del governo anche se ha una struttura molto complessa e dall’esito ancora incerto. Si basa su impegni per un aumento di capitale fino a 5 miliardi e su garanzie pubbliche sulla cartolarizzazione dei 27,4 miliardi di sofferenze, le “GACS“, di cui è stata appena emanata la normativa. Parecchi dettagli devono ancora essere chiariti, ma i punti principali sono l’aumento di capitale – che si chiuderà entro la fine del corrente anno – e la cessione delle sofferenze che vedrà la luce agli inizi del 2017.
A differenza dell’intervento effettuato nel 2008 dal Tesoro USA, non ci sarà (almeno per ora) un ruolo diretto dello Governo. Benché esso sia consentito dall’articolo 32 della direttiva BRDD, si è preferito puntare su una soluzione di mercato. Rimane però cruciale il ruolo del Governo come garante dell’operazione.
L’aumento di capitale di MPS è tutto a carico del mercato, degli azionisti vecchi e nuovi. I 5 miliardi di nuovo patrimonio serviranno, sulla base delle previsioni: 1,2 miliardi per svalutare al 33% le sofferenze (che MPS ha in bilancio al 39%) e 1 miliardo per adeguare le svalutazioni delle altre NPL, meno rischiose, al 60%. Altri 1,6 miliardi rappresentano l’equity piece (cioè le prime perdite, a carico delle obbligazioni junior) della cartolarizzazione che vanno agli azionisti (non si prevedono recuperi consistenti da questa tranche). Tale primo passaggio consente, a cascata, di far sottoscrivere la tranche “mezzanine“, pari a 1,6 miliardi, al fondo Atlante bis, sempre al prezzo di 33 (più interessi e spese di recupero crediti). I 6 miliardi di crediti senior (cioè i migliori) avranno la garanzia statale (GACS). Il recupero qui è certo e lo Stato ci guadagnerà il costo della garanzia, calcolata sulla base dei CDS, cioè il rischio di default, di emittenti con lo stesso rating della banca senese.
Quindi, dell’aumento di capitale, 2,2 miliardi servono per pulire il bilancio dai crediti deteriorati (sofferenze + incagli, crediti ristrutturati, etc.) e fino a 1,6 miliardi per le obbligazioni junior di cui è probabile ci siano perdite. Il resto va a rafforzare il patrimonio.
Poiché il Governo ha voluto disinnescare la mina del salvataggio con “bail in”, quella adottata è l’unica soluzione possibile per MPS. Se tutto andrà secondo le previsioni la banca si troverà ad avere un Cet 1 (patrimonio di qualità) ai livelli dei migliori gruppi bancari europei. Visti i tempi lunghi del suo completamento, il piano prevede un prestito ponte di 6/7 miliardi, che verrà erogato da JP Morgan, incaricata del collocamento azionario, insieme ad un gruppo di banche d’affari internazionali.
Un buon risultato che, almeno per ora, non coinvolge gli 80 mila obbligazionisti subordinati che sottoscrissero titoli della specie per 2,1 miliardi, ai tempi di Mussari, per sostenere l’acquisto di Antonveneta.
Il maggior successo ottenuto nella trattativa con le autorità europee, è il passaggio, come “operazione di mercato”, della cessione delle sofferenze a 9,2 miliardi (il 33% del valore lordo di 27,4 miliardi). Ricordo che nella “risoluzione” delle 4 banche del novembre scorso (Marche, Etruria, Ferrara e Chieti) le sofferenze furono valutate inizialmente al 17,5%. Si fosse raggiunta allora una percentuale più vicina al 33%, non avremmo avuto il coinvolgimento degli obbligazionisti subordinati, le proteste, l’impatto mediatico e la crisi di fiducia che ne è seguita.
Nel progetto è previsto che al fondo Atlante bis vengano assegnate nuove azioni pari al 7% del capitale di MPS, che si aggiungono al 4% già posseduto dal Tesoro.
Questa in sintesi l’operazione su MPS, che da sola non basta.
Esiste infatti un problema di ristrutturazione che riguarda l’intero sistema bancario. Soddisfatte le esigenze di capitale e le sofferenze di ciascuna banca, con i mezzi che saranno loro consentite, il sistema bancario dovrà passare ai progetti industriali. Quindi un vasto programma di esuberi e ammortizzatori per accompagnare l’eccesso di personale bancario e un adeguamento dell’offerta di servizi alla luce delle nuove tecnologie.
A questo punto il lettore può domandarsi: perché a una operazione così ben fatta il mercato ha reagito con il crollo del valore dei titoli delle banche quotate?
La risposta è: per i dettagli. Il diavolo, come spesso accade, si nasconde lì. Innanzitutto perché il mercato odia gli aumenti di capitale. Gli azionisti di MPS, dopo aver messo 8 miliardi, non hanno voglia di sborsarne altri 5 senza garanzie di dividendi soddisfacenti.
Si parla inoltre di una possibile analoga operazione “monstre” di Unicredit, che ha superato gli stress test, ma con un livello di capitale inferiore alla media dei concorrenti. Altro “dettaglio”: non sono ancora definiti i finanziatori di Atlante bis e si teme che alla fine si ricaverà meno del 33% (al netto dei costi) dal recupero forzoso delle sofferenze.
Infine, ma non per ultimo, dato che il piano é opera del Governo Renzi (sembra che Padoan fosse per un intervento diretto dello Stato, con sacrificio dei subordinati, da ristorare in qualche modo) il mercato si domanda se a fine 2016, in caso di una vittoria del No al referendum sulle riforme istituzionali, sarà ancora Matteo Renzi Presidente del Consiglio. Noi crediamo di si, ma i mercati vogliono certezze.