Sara Nocentini

Sara Nocentini: il lavoro, non i voucher

Oggi saremmo andati a votare ad un referendum per la modifica di quella parte del jobs act che aveva consentito il dilagare di una forma di lavoro che nelle intenzioni iniziali doveva servire a regolarizzare il lavoro accessorio, non prevedibile e saltuario, prevalentemente per alcuni settori, tra cui piccoli lavoretti domestici e agricoltura (ma solo per alcune categorie di persone).

Oggi saremmo andati a votare perché quel sistema ha visto tra il 2013 e il 2015 (dati Inps) raddoppiare il numero di imprese che vi hanno fatto ricorso (raggiungendo quota 473 mila nel 2015) e triplicare il numero di ticket con cui sono stati pagati i lavoratori. Nei primi dieci mesi del 2016 il numero di voucher utilizzati è cresciuto di un ulteriore 32%.

Oggi saremmo andati a votare perché i voucher hanno ormai invaso tutti i settori, ben oltre i fabbisogni iniziali. Sempre l’Inps ci rivela che il 75% dei voucher vengono utilizzati dal settore terziario: più della metà di questi vengono pagati da alberghi e turismo (75mila) e commercio (53 mila), seguono le aziende alimentari, le costruzioni (circa 14mila), i servizi alle imprese e informatica (oltre 20mila). Vi sono anche le imprese artigiane e i commercianti senza dipendenti (65mila), mentre risulta modesto il numero dei committenti dell’agricoltura (16 mila).

Oggi saremmo, dunque, andati a votare per ribadire nuovamente che la crisi non può essere l’ennesima scusa per scaricare sul lavoro i costi per il recupero della competitività di interi settori o per compensare la pigrizia degli imprenditori nostrani. Vogliamo lavoro di qualità, perché di questo viviamo.

Saremmo andati a dire tutto questo, ma non andremo. Perché il Segretario riconfermato del principale partito al governo ha ritenuto che il pericolo di una nuova sconfitta referendaria potesse valere l’accettazione di un compromesso con il mondo del lavoro. Certo, pur sempre attraverso un percorso non condiviso e una decisione unilaterale, ma sufficiente a superare il bisogno del referendum.

Ora però, alla vigilia del voto mancato, vale la pena ribadire chi comanda e soprattutto come comanda: senza alcuna mediazione sociale, senza alcun rispetto per le organizzazioni sindacali e quei 3 milioni di firme raccolte per abolire una forma di lavoro ingiusta.

Scrissi al momento dell’abolizione dei voucher e ribadisco oggi che quello che manca nel dibattito politico sono i lavoratori e, se volete, anche le imprese; manca un progetto, manca una strategia per far emergere il lavoro nero – ed è giusto – che ne favorisca però al tempo stesso un’emersione dignitosa.
Manca un ragionamento su quali siano veramente i fabbisogni del sistema produttivo (se ve ne siano) sul lavoro accessorio, saltuario e quali dovrebbero essere le garanzie aggiuntive da chiedere collettivamente a maggiore tutela per quei lavoratori e quelle lavoratrici, perché come è facile immaginare, la maggioranza dei voucher è donna.

Articolo Uno-Mdp non ha votato in commissione bilancio l’emendamento che reintroduce i voucher. Se il governo metterà la fiducia, dovrà spiegare, dopo anni di elogio della stabilità, i veri motivi di una crisi di governo, e dovrà chiedere scusa per la strumentalizzazione dei bisogni del mondo del lavoro per altri obiettivi.
Comunque vada, saremo veramente utili se riprenderemo quel filo di analisi ed elaborazione ormai da tempo spezzato sui bisogni del mondo del lavoro e del sistema produttivo, senza equidistanza ma con la corretta comprensione delle forze in gioco, avanzando proposte concrete.
Il 17 giugno la CGIL ha indetto una manifestazione a Roma contro l’arroganza del governo. Dobbiamo esserci. Per il lavoro e contro le larghe intese.

Nella foto di copertina: Sara Nocentini

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