
Sottraiamo internet al mercato. Da bene di consumo diventi un diritto sociale
Traduzione dell’articolo di Ben Tarnoff, pubblicato sul Guardian con il titolo “Time to release the internet from the free market – and make it a basic right” (29 novembre 2017).
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Quando pensate a internet senza la neutralità della rete, dovete pensare ai piaceri del trasporto aereo moderno. Paghi per il bagaglio in stiva, paghi per un briciolo di spazio per le gambe in più, paghi per un panino schifoso. Internet senza la neutralità della rete apparirà più o meno così: i servizi di base sono appena tollerabili e tutto il resto costa un extra.
Questo scenario distopico è il motivo per cui è così importante contrastare i piani dell’amministrazione Trump. Ma la lotta non può limitarsi a salvare la neutralità della rete.
Per democratizzare internet, dobbiamo fare molto di più rispetto a costringere i provider privati a rispettare certe regole. Dobbiamo farli diventare aziende pubbliche. Dobbiamo sottrarre internet al mercato e trasformarlo da un bene di consumo in diritto sociale.
Avere accesso a internet è una necessità. È una precondizione di base per una piena partecipazione alla nostra vita sociale, politica ed economica. Ma finché le infrastrutture di internet rimangono private, le società che lo controllano daranno sempre la precedenza all’accumulare i profitti per gli investitori rispetto all’occuparsi dei nostri bisogni di utenti e cittadini. La neutralità della rete riguarda una conseguenza negativa della proprietà privata, ma ce ne sono molte altre. Far pagare tassi discriminatori per i dati è un sintomo – la radice è la natura antidemocratica di un sistema gestito solo ed esclusivamente per il profitto. La soluzione è rendere quel sistema pubblico. E piazzarlo sotto il controllo democratico.
L’idea di un internet pubblico potrebbe sembrare utopica, ma è così che ha avuto inizio la rete. I nostri soldi hanno creato internet, prima che fosse radicalmente privatizzato negli anni ’90. Le grandi compagnie s’impossessarono di un sistema costruito con un’enorme quantità di soldi pubblici per vendercene l’accesso – l’equivalente di qualcuno che ti ruba la casa per farti pagare l’affitto.
I sostenitori della privatizzazione dicevano che il settore privato avrebbe offerto un servizio migliore. Ma lasciare che fosse il profitto a guidare l’infrastruttura web è stato un disastro. […]
Un numero sconvolgente di americani che vivono nelle aree rurali – il 39%, per la precisione – non hanno accesso a un servizio internet che rispecchi la definizione di “banda larga”. Quasi la metà degli americani con un reddito familiare annuo inferiore ai 30.000 dollari non hanno proprio la banda larga a casa – soprattutto le famiglie nere e ispaniche. E anche quei residenti delle aree a basso reddito che possono permettersi di avere internet a casa spesso hanno a che fare con un servizio lentissimo.
I provider internet ignorano queste comunità perché possono fare più soldi altrove. I costi umani sono immensi: negando a un’ampia porzione del paese una connessione internet decente, questi provider in pratica isolano le persone dalla società contemporanea. […]
Per fortuna c’è un’alternativa: la banda larga municipale. […]
I provider pubblici possono dare alle persone cose che i provider privati non possono. Possono fornire un servizio migliore a un prezzo più basso perché non devono rimpinguare le tasche di manager e investitori. Possono anche dare alle comunità il potere di decidere come viene gestita l’infrastruttura: se da un consiglio nominato dal comune, se da rappresentanti democraticamente eletti o se con metodi diretti di controllo popolare. […]
Ma la lotta politica per un internet pubblico non può essere vinta a livello municipale. Il successo della città di Chattanooga terrorizza l’industria delle telecomunicazioni, che ha fatto pressione sugli stati in tutto il Paese per impedire o limitare esperimenti simili.
Un’altro motivo per cui la campagna per un internet pubblico non può restare a livello locale è che internet stesso non è locale. I provider di banda larga sono solo un anello della catena: spostare i dati in rete ha bisogno di un labirinto di tubature più profonde, le più grosse delle quali sono conosciute come “spina dorsale”. La proprietà locale potrà anche essere il modello migliore per la banda larga, ma la proprietà nazionale sarà necessaria per i network più grossi – magari qualcosa sulla falsa riga della Tennessee Valley Authority, un’azienda federale creata durante il New Deal che ha portato per la prima volta e a basso costo l’elettricità a migliaia di americani.
Vale la pena difendere la neutralità della rete, ma non possiamo solo giocare in difesa. Come difendiamo l’Obamacare mentre lottiamo per la Medicare for All, allo stesso modo dovremmo proteggere la neutralità della rete mentre lottiamo per un internet pubblico. L’argomento non potrebbe essere più concreto: un internet pubblico promette costi più bassi, più velocità e sovranità popolare su una delle infrastrutture più importanti per la società. E soprattutto, promette di rendere l’accesso a internet un diritto.
Bernie Sanders è diventato il politico più popolare del paese sostenendo queste idee in altre aree. Vuole democratizzare la sanità e l’istruzione superiore trattandole non come comodità ma come beni sociali, garantiti a tutti come diritti.
Dovremmo utilizzare la stessa argomentazione per quanto riguarda internet. Abbiamo bisogno di un programma socialista per internet per le stesse ragioni per cui abbiamo bisogno di un programma socialista per la sanità e l’istruzione superiore: perché è il modo migliore per fornire alle persone le risorse di cui hanno bisogno per condurre vite dignitose. E il potere di partecipare alle decisioni che le toccano maggiormente.
È tempo di riprendersi internet e far sì che il sistema che abbiamo creato assieme sia utile ai nostri scopi comuni.
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(Foto di copertina: HarRock/Shutterstock)