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Stesso sangue, stessi diritti

Tre euro e cinquanta all’ora: è questa la paga dei braccianti Sikh nella foto di copertina. Metà di quanto stabilito dal contratto. In più, l’orario di lavoro è senza regole e gli alloggi spesso in condizioni indecenti. Ma martedì 19 aprile, per la prima volta, duemila di loro hanno scioperato e aderito alla manifestazione della Flai-Cgil a Latina per chiedere condizioni di lavoro dignitose e un salario equo. Come scrive Roberto Ciccarelli su Il Manifesto :

In piazza, la loro voce era amplificata da un microfono. Parlavano a bordo di un camioncino. Sul lato esposto davanti alla platea dei lavoratori seduti era esposto uno striscione con lo slogan: “Stesso sangue, stessi diritti”. «Siamo ragazzi come gli altri, non ce la facciamo a sopportare ritmi e carichi di lavoro disumani e ricevere 2 o 3 euro l’ora. Vogliamo il giusto e non vogliamo dare fastidio a nessuno», così hanno dichiarato dal palco. «Siamo costretti ad accettare 3.50 l’ora altrimenti il padrone dice che non ci fa il contratto e quindi non abbiamo più il permesso di soggiorno».

Stesso sangue, stessi diritti. Perché la lotta per un lavoro dignitoso, non subordinato alla logica del profitto a ogni costo, totalmente deregolamentato, è universale.
Parla di “lotta universale” anche un articolo recentemente apparso su Jacobin Magazine , la rivista della sinistra socialista americana, ultimamente molto vicina al candidato democratico Bernie Sanders. L’articolo di Nivedita Majumdar, professoressa associata di Inglese al John Jay College e segretaria del sindacato dei dipendenti dell’Università della Città di New York (CUNY), inizia illustrando le critiche che vengono spesso rivolte all’ideale socialista, in particolare a Sanders.

All’interno della stessa sinistra, c’è sospetto verso un ideale che molti vedono prettamente concentrato sulle questioni economiche e distante dalle altre sofferenze di tutti i giorni, soprattutto di quelle delle persone di colore. In particolare, l’evocazione della socialdemocrazia scandinava da parte di Sanders ha suscitato critiche del tipo che, così, appoggia una specie di “eccezionalismo nordico“, ostile nei confronti della diversità. Questi attacchi sulla più moderata varietà di socialismo sono nutriti, soprattutto nei campus universitari, da pozioni teoretiche che vedono il marxismo e molte delle sue derivazioni come disperatamente eurocentriche. La tesi di fondo di questi attacchi è che il socialismo, un’ideologia apparentemente occidentale (e bianca), nonostante sia capace di affrontare le ingiustizie economiche, rimane incapace di parlare alle esperienze di oppressione e discriminazione del Sud globale, così come ai gruppi oppressi di altre parti del mondo.

Ma quanto c’è di vero in questa critica? “ L’ideale socialista si basa sulla convinzione che i lavoratori di tutto il mondo soffrono per mano dei capitalisti e condividono un interesse comune nel resistere allo sfruttamento,” continua Nivedita Majumdar. Proprio per questo:

Chiamare questa un’idea solo occidentale rappresenterebbe una novità per i più di 1.100 lavoratori del settore tessile a Dhaka, in Bangladesh, rimasti uccisi nell’aprile 2013 nel crollo dell’edificio della fabbrica Rana Plaza in cui stavano lavorando. L’edificio era stato dichiarato a rischio, ma i loro datori di lavoro li hanno costretti a lavorare con la minaccia del licenziamento. Due anni dopo il crollo della fabbrica, Human Rights Watch ha condotto uno studio dettagliato sulle pratiche industriali in Bangladesh. Ha così scoperto gravi rappresaglie da parte delle fabbriche contro le organizzazioni sindacali – l’unica protezione da condizioni di lavoro pericolose e salari da fame.
Per fermare l’attività dei sindacati, i proprietari delle fabbriche conducevano ciclicamente violente campagne d’intimidazione e di rappresaglia contro i lavoratori, molti dei quali donne. I lavoratori che cercavano di condurre azioni sindacali non solo hanno perso il lavoro, ma sono spesso stati messi nella lista nera del settore.

Per tornare in occidente, e nello specifico negli Stati Uniti, nell’aprile 2015, Walmart ha chiuso cinque dei suoi negozi americani, licenziando 2.200 lavoratori con solo qualche ora di preavviso. Nonostante la motivazione ufficiale per le chiusure fosse “riparazioni idrauliche”, si è trattata di una vendetta contro i lavoratori che stavano cercando di organizzarsi per ottenere un salario minimo e migliori condizioni lavorative. Walmart, dove recentemente i lavoratori hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro i salari da fame, è il più grande datore di lavoro di neri, ispanici e donne degli Stati Uniti.
È quindi eurocentrico affermare che i lavoratori del settore tessile in Bangladesh rischiano quanto i lavoratori licenziati da Walmart negli Stati Uniti nella lotta per un salario decente e per la sicurezza sul lavoro? Chi non la pensa così sono sicuramente i loro padroni in Bangladesh e i manager di Walmart degli USA, ugualmente preoccupati all’idea dei lavoratori che si organizzano e rivendicano i propri diritti.

I capitalisti di tutto il mondo vedono i lavoratori come una fonte di profitto. In un sistema guidato solo dal profitto, ci sono pochi incentivi a occuparsi dei bisogni dei lavoratori oltre i dettami del mercato. E le leggi del mercato, nonostante le rivendicazioni dell’economia neoclassica, non sono né giuste né imparziali. Il potere economico e politico del capitale assicura che le leggi del mercato siano sempre in suo favore.

Tuttavia, in entrambi i contesti, un’analisi socialista ci rivela una realtà diversa sul mondo del lavoro. Infatti, contro ogni previsione e nonostante le condizioni sempre a loro avverse, i lavoratori, inevitabilmente, lottano. Ma la battaglia è sbilanciata e il capitale utilizza ogni mezzo a sua disposizione per schiacciare la resistenza: dalle vere e proprie intimidazioni fisiche come in Bangladesh, fino a tecniche più raffinate, tipo la chiusura di interi negozi, come negli Stati Uniti. Per i lavoratori, i rischi sono tantissimi, ma, per quanto avvantaggiato, il capitale non può mai essere a proprio agio, perché lo sfruttamento genera automaticamente la resistenza. La logica del capitale è universale, come è universale la lotta per contrastarla. Ed è proprio per questo che – conclude Nivedita Majumdar su Jacobin Magazine – il socialismo non è eurocentrico: non c’è nulla di eurocentrico nel rifiutare la logica distruttiva del capitale e nel combattere per un mondo migliore, per rimpiazzarla. È una scelta universale e, semplicemente, umana. Perché, come recita lo slogan dei braccianti Sikh con cui abbiamo iniziato: “stesso sangue, stessi diritti”. E stesse lotte.

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