L’Acela Express non è un treno come tanti altri in America. Ricorda, simbolicamente, la locomotiva di gucciniana memoria. Certo più moderna ed equipaggiata con ogni comfort: Wi-fi libera, assistenti di viaggio ben vestite e pranzo servito al posto; Certo meno sovversiva del treno “lanciato a bomba contro l’ingiustizia” del cantautore della via Emilia. Un treno per ricchi in definitiva, quelli da 300 dollari a viaggio. Eppure l’Acela riesce ad essere più di un semplice treno, per la tratta che percorre e per i luoghi che fende a velocità supersonica: collega New York con Washington passando per Baltimora, Filadelfia e Maryland e lambisce il New Jersey e la Pennsylvania. Approda nell’America sognata passando per l’America nascosta.
Un treno che è la sintesi precisa di uno Stato da sempre ambivalente, conteso tra ricchezza e povertà, tra carriere strabilianti ed inaccettabili disuguaglianze, tra sogno e realtà. Queste cose le sapeva David Millward, inviato dell’inglese “Telegraph”, il quale, a differenza degli uomini d’affari in viaggio verso la Capitale chini sui propri tablet e smartphone, impegnati a controllare le variazioni dei titoli di borsa e l’andamento dei propri investimenti finanziari, ha rivolto lo sguardo al mondo che scorreva veloce dal finestrino. Sembrava un film! Quello che un tempo era il cuore industriale dell’America si presentava non tanto dissimile dai luoghi post-apocalittici di alcuni capolavori cinematografici: industrie dismesse, erba alta nei piazzali ed edera che divelle i tetti, cancelli serrati con lucchetti arrugginiti e vetri delle finestre infranti. In un suo articolo citato nel nuovo libro di Revelli (Populismo 2.0), Millward ci suggerisce come il discorso di Trump abbia toccato il nervo scoperto di coloro i quali si trovano fuori, in quelle lande adesso simili a deserti di cemento e bitume, mentre Hillary Clinton ha sfondato tra i signori seduti dentro quel treno. Di lì a poco, le analisi elettorali e la geografia del voto ci confermavano questa ipotesi. Trump ha vinto grazie al voto dei “forgotten man”, degli ex lavoratori delle industrie fordiste non riassorbiti nel mondo del lavoro dopo la rivoluzione della green economy di Obama, del ceto medio impoverito e dei veterani di guerra rientrati dal medio oriente senza troppe onorificenze, dei residenti dei villaggi rurali e degli avamposti suburbani raramente inquadrati dalle telecamere dei media statunitensi. Non è un caso che il voto ai repubblicani si sia concentrato in quelli che erano i grandi bastioni dei democratici nell’età industriale, mostrando plasticamente il grande rovesciamento che sta caratterizzando buona parte dell’occidente: La Destra che si preoccupa di convincere gli ultimi e la Sinistra che si concentra sulle simpatie dei primi. L’effetto è questo: Trump si afferma negli Stati della “Rust Belt” (cintura di ruggine), proprio quella che un tempo era la “Steel Belt” (cintura d’acciaio) e lungo l’asse di produzione di ferro e carbone delle antiche miniere del Kentucky, del Kansas e del Missouri. Nelle terre selvagge del Wisconsin e della Pennsylvania, nel Wyoming e nel Michigan, la narrazione di Trump ha battuto quella della Clinton: l’America di Trump ha battuto quella della Clinton, verrebbe da dire. Sì, perché a ben guardare si trattava di due Americhe che esistono entrambe, ed entrambe hanno votato. Una però raccontata, quella ricca e bella, prosperosa ed iridescente, l’altra obliata, dimenticata, taciuta e nascosta, quella povera ed invisibile.
Così sta accadendo anche in Italia. A poche settimane dalle elezioni politiche che sceglieranno la diciottesima legislatura della Repubblica Italiana, il Paese sembra vivere una doppia vita: quella reale e quella raccontata. Quella del “milione di posti di lavoro in più” e quella della crescente precarietà; quella della crescita e quella della diseguaglianza; quella de “il Pil riparte” e quella della crescita più bassa d’Europa. L’Italia narrata e quella nascosta da dati che sono evidenti nella vita di tutti i giorni. Non c’è bisogno dell’Istat per sottolineare che, nella voce “occupati” vengono computati anche coloro che hanno lavorato soltanto un’ora nella settimana di riferimento dell’indagine. Non c’è bisogno dei dati per sapere che diminuiscono sempre più le ore totali lavorate e da un lato si concentra, dall’altro si spezzetta e precarizza, il lavoro.
Gli uomini, le donne, i giovani, specialmente nel Sud Italia, lo sanno bene perché lo vivono sulla loro pelle, quotidianamente. Per cui il 4 Marzo non andrà a votare l’Italia d’oro, quella delle favole dei ricchi. Certo, anche quella, ma sarà soltanto una piccola parte del totale degli elettori. Si recherà invece alle urne, se non scoraggiata e delusa al punto di non uscire da casa, la massa di “forgotten man”, dei dimenticati. L’Italia profonda, che esploderà nel cuore del sistema istituzionale ove a lungo è stata covata, con la stessa forza con cui è stata per lungo tempo dimenticata. Le forze politiche sono avvisate: o ci si connette con l’immenso disagio sociale che abita ogni anfratto di questo Paese o si verrà spazzati via, da un vento che prenderà il nome di chi saprà incanalarlo.
Trump e le sirene dell’Italia profonda
L’Acela Express non è un treno come tanti altri in America. Ricorda, simbolicamente, la locomotiva di gucciniana memoria. Certo più moderna ed equipaggiata con ogni comfort: Wi-fi libera, assistenti di viaggio ben vestite e pranzo servito al posto; Certo meno sovversiva del treno “lanciato a bomba contro l’ingiustizia” del cantautore della via Emilia. Un treno per ricchi in definitiva, quelli da 300 dollari a viaggio. Eppure l’Acela riesce ad essere più di un semplice treno, per la tratta che percorre e per i luoghi che fende a velocità supersonica: collega New York con Washington passando per Baltimora, Filadelfia e Maryland e lambisce il New Jersey e la Pennsylvania. Approda nell’America sognata passando per l’America nascosta.
Un treno che è la sintesi precisa di uno Stato da sempre ambivalente, conteso tra ricchezza e povertà, tra carriere strabilianti ed inaccettabili disuguaglianze, tra sogno e realtà. Queste cose le sapeva David Millward, inviato dell’inglese “Telegraph”, il quale, a differenza degli uomini d’affari in viaggio verso la Capitale chini sui propri tablet e smartphone, impegnati a controllare le variazioni dei titoli di borsa e l’andamento dei propri investimenti finanziari, ha rivolto lo sguardo al mondo che scorreva veloce dal finestrino. Sembrava un film! Quello che un tempo era il cuore industriale dell’America si presentava non tanto dissimile dai luoghi post-apocalittici di alcuni capolavori cinematografici: industrie dismesse, erba alta nei piazzali ed edera che divelle i tetti, cancelli serrati con lucchetti arrugginiti e vetri delle finestre infranti. In un suo articolo citato nel nuovo libro di Revelli (Populismo 2.0), Millward ci suggerisce come il discorso di Trump abbia toccato il nervo scoperto di coloro i quali si trovano fuori, in quelle lande adesso simili a deserti di cemento e bitume, mentre Hillary Clinton ha sfondato tra i signori seduti dentro quel treno. Di lì a poco, le analisi elettorali e la geografia del voto ci confermavano questa ipotesi. Trump ha vinto grazie al voto dei “forgotten man”, degli ex lavoratori delle industrie fordiste non riassorbiti nel mondo del lavoro dopo la rivoluzione della green economy di Obama, del ceto medio impoverito e dei veterani di guerra rientrati dal medio oriente senza troppe onorificenze, dei residenti dei villaggi rurali e degli avamposti suburbani raramente inquadrati dalle telecamere dei media statunitensi. Non è un caso che il voto ai repubblicani si sia concentrato in quelli che erano i grandi bastioni dei democratici nell’età industriale, mostrando plasticamente il grande rovesciamento che sta caratterizzando buona parte dell’occidente: La Destra che si preoccupa di convincere gli ultimi e la Sinistra che si concentra sulle simpatie dei primi. L’effetto è questo: Trump si afferma negli Stati della “Rust Belt” (cintura di ruggine), proprio quella che un tempo era la “Steel Belt” (cintura d’acciaio) e lungo l’asse di produzione di ferro e carbone delle antiche miniere del Kentucky, del Kansas e del Missouri. Nelle terre selvagge del Wisconsin e della Pennsylvania, nel Wyoming e nel Michigan, la narrazione di Trump ha battuto quella della Clinton: l’America di Trump ha battuto quella della Clinton, verrebbe da dire. Sì, perché a ben guardare si trattava di due Americhe che esistono entrambe, ed entrambe hanno votato. Una però raccontata, quella ricca e bella, prosperosa ed iridescente, l’altra obliata, dimenticata, taciuta e nascosta, quella povera ed invisibile.
Così sta accadendo anche in Italia. A poche settimane dalle elezioni politiche che sceglieranno la diciottesima legislatura della Repubblica Italiana, il Paese sembra vivere una doppia vita: quella reale e quella raccontata. Quella del “milione di posti di lavoro in più” e quella della crescente precarietà; quella della crescita e quella della diseguaglianza; quella de “il Pil riparte” e quella della crescita più bassa d’Europa. L’Italia narrata e quella nascosta da dati che sono evidenti nella vita di tutti i giorni. Non c’è bisogno dell’Istat per sottolineare che, nella voce “occupati” vengono computati anche coloro che hanno lavorato soltanto un’ora nella settimana di riferimento dell’indagine. Non c’è bisogno dei dati per sapere che diminuiscono sempre più le ore totali lavorate e da un lato si concentra, dall’altro si spezzetta e precarizza, il lavoro.
Gli uomini, le donne, i giovani, specialmente nel Sud Italia, lo sanno bene perché lo vivono sulla loro pelle, quotidianamente. Per cui il 4 Marzo non andrà a votare l’Italia d’oro, quella delle favole dei ricchi. Certo, anche quella, ma sarà soltanto una piccola parte del totale degli elettori. Si recherà invece alle urne, se non scoraggiata e delusa al punto di non uscire da casa, la massa di “forgotten man”, dei dimenticati. L’Italia profonda, che esploderà nel cuore del sistema istituzionale ove a lungo è stata covata, con la stessa forza con cui è stata per lungo tempo dimenticata. Le forze politiche sono avvisate: o ci si connette con l’immenso disagio sociale che abita ogni anfratto di questo Paese o si verrà spazzati via, da un vento che prenderà il nome di chi saprà incanalarlo.
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Nella foto : L’Acela Express
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Francesco Scanni
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